Cop26, perché non si parla di animali?L’allevamento intensivo degli animali è il secondo responsabile delle emissioni di gas serra responsabili dell’emergenza climatica
L’allevamento intensivo degli animali è il secondo responsabile delle emissioni di gas serra responsabili dell’emergenza climatica. Eppure questo tema non viene preso in considerazione nell’agenda della Cop26, la conferenza sul clima che si svolgerà a Glasgow a dicembre e che ha il suo prologo in questi giorni a Milano con la Youth4climate
e con la conferenza preparatoria PreCop26.
I leader del mondo stanno dibattendo con più convinzione, rispetto al passato, dell’introduzione di misure che consentano di invertire la tendenza della crescita del riscaldamento globale. Ma nel farlo dimenticano — o volutamente trascurano, visti gli interessi in campo — di includere nel problema anche il sistema agroalimentare così come viene oggi gestito. Un’assenza che rischia di vanificare qualsiasi altro intervento di riduzione del danno, a partire dalla transizione energetica, fondamentale ma non risolutiva se non affiancata da politiche sostenibili anche in tutti gli altri campi dell’organizzazione sociale.
Le associazioni ambientaliste e animaliste stanno cercando di portare il tema al centro della discussione. La Lav lo ha fatto con un flash mob che ha fatto risuonare a sorpresa, da punti diversi del centro di Milano, voci di animali registrate in allevamenti italiani. Un modo per dare voce alle prime vittime dell’industria alimentare basata su allevamenti intensivi. Ma anche per ricordare che dietro quelle voci c’è una seconda vittima, che è appunto l’ambiente, ovvero tutti quanti noi. «Gli allevamenti sono ovunque, al loro interno sono confinati milioni di animali, eppure rimangono i grandi assenti dal dibattito sul clima . Abbiamo deciso di farci portavoce di mucche, galline maiali e altri animali da reddito chiedendo al governo di considerare il ruolo degli allevamenti in questa emergenza climatica». L’associazione ha già avanzato al ministero delle Finanze la richiesta di un Fondo per la transizione alimentare basato su un prelievo economico per ogni animale allevato. E, al tempo stesso, ha chiesto una rimodulazione delle aliquote Iva con un innalzamento al 22% per i prodotti di origine animale e un abbassamento al 4% per quelli di origine vegetale». «L’obiettivo — spiega il presidente Gianluca Felicetti — è incentivare una graduale riconversione e riqualificazione delle aziende zootecniche e coprire una parte dei costi ambientali e climatici attribuibili alla produzione zootecnica nel nostro Paese».
E non è solo in Italia che si ragiona di questa assenza. Il motivo è abbastanza intuibile, ovvero gli interessi – legittimi – delle filiere legate all’industria zootecnica e le inevitabili ripercussioni economiche che i cambiamenti comporterebbero. Del resto lo ha ripetuto più volte anche il ministro Massimo Cingolani: la transizione ecologica ha un costo e per questo è complessa da realizzare. Ma prima o poi bisognerà avviarla. Ancora oggi, per esempio, il grosso del bilancio dell’Unione europea è destinato alla Politica agricola comune e ancora oggi la gran parte degli stanziamenti finiscono con l’agevolare le aziende di grandi dimensioni. Che rappresentano una quota importante del pil di molti Paesi e che hanno una forte rappresentanza politica nei parlamenti nazionali e nello stesso Europarlamento. Di qui le cautele della politica.
Qualcosa però a livello di opinione pubblica si muove. E anche gli influencer si stanno attivando. Nei giorni scorsi diversi personaggi del mondo dello spettacolo, della tv e della cultura hanno aderito alla presa di posizione di Humane Society International sottoscrivendo una lettera a Alok Sharma, presidente della Cop26, chiedendo non solo di affrontare il tema ma anche proponendo possibili soluzioni, come lo spostamento di fondi e sussidi dall’allevamento ad una produzione agricola incentrata sulle coltivazioni o l’incentivazione della ricerca sulla produzione alternativa di proteine. «L’allevamento intensivo sta distruggendo il nostro pianeta — commenta il cantautore Moby, tra i firmatari della lettera assieme a Joaquin Phoenix, Ricky Gervais, Stephen Fry, Lucy Watson e altri ancora —. La scienza parla chiaro: l’adozione di una dieta maggiormente vegetale è una delle azioni più efficaci che possiamo intraprendere per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico».