COSA CAMBIA ORA CHE GLI STATI UNITI SI SONO RITIRATI DAL TRATTATO SUL CLIMA
Come preannunciato, il presidente Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti non manterranno gli accordi di Parigi del 2016 che erano stati firmati dalla stragrande maggioranza dei Paesi della Terra.
Trump ha anche annunciato la volontà di rinegoziare i termini per far rientrare gli Stati Uniti negli accordi sul clima con impegni e sforzi diversi.
Ma quali sono le conseguenze per i patti del clima, quali per altre nazioni, per l'Europa e per l'Italia? Ne abbiamo parlato con Antonello Provenzale, direttore dell'Istituto di geoscienze e georisorse del CNR, e Aurora D'Aprile, ricercatrice presso l'International Center for Climate Governance.
ORA CHE GLI USA HANNO DECISO DI LASCIARE GLI ACCORDI DI PARIGI...
1. Ci saranno conseguenze per Europa e Cina? Potrebbero essere positive?
Per l'Europa è arrivato il momento di riprendere una posizione centrale nello scenario scientifico e tecnologico. Per esempio, proprio nello studio del clima è stato dichiarato, nel corso di alcune riunioni della European Climate Research Alliance (ECRA), che la Commissione Europea ha intenzione di incrementare gli investimenti nella ricerca sul clima, anche per sopperire alla probabile riduzione degli stanziamenti per le ricerche sul clima negli Stati Uniti. Naturalmente, tutto questo è possibile solamente se l'Europa "regge", come entità politica e sociale. Pare infine che Europa e Cina, in occasione di un meeting che si terrà venerdì 2 giugno, dichiareranno il cambiamento climatico "un imperativo ora più che mai". Sarebbe il primo accordo bilaterale tra l'Unione Europea e la Cina, e sarà appoggiato da tutti i membri dell'Unione, compreso il Regno Unito.
2. Quali conseguenze ci saranno sul clima per l'Europa e il Mediterraneo?
Le proiezioni indicano una diversa distribuzione delle precipitazioni e temperature più alte, con possibili siccità estive più intense e precipitazioni più concentrate.
In particolare, la siccità e la distribuzione stagionale delle precipitazioni modificata possono comportare danni seri all'economia e all'agricoltura del Mediterraneo. Potrebbero esserci conseguenze anche sulla circolazione dell'acqua nel Mediterraneo: l'uscita di acqua salata dal Mediterraneo, più salata di quella dell'Atlantico, ha un effetto diretto sulla circolazione atlantica, ma non ci sono al momento conclusioni definitive su che cosa ci si può aspettare.
3. Ci saranno conseguenze anche sull'alimentazione?
Questo è un punto cruciale: capire come gestire e distribuire le risorse idriche, sia quelle superficiali (torrenti, fiumi, fusione delle nevi, ghiacciai) sia quelle sotterranee (acquiferi in roccia, in mezzi porosi, sistemi di sorgenti). Tutte queste risorse - e in particolare la loro distribuzione stagionale - risentono dei cambiamenti climatici e dei cambiamenti nel loro utilizzo (per esempio, l'aumento della popolazione nelle grandi città). Una serie di incontri avvenuti al CNR, nell'ambito del progetto Foresight Scientifico e Tecnologico) ha evidenziato che le zone più critiche, per la disponibilità e la qualità dell'acqua, sono le aree urbane e le aree costiere molto popolate.
4. Altri Paesi potrebbero seguire l'esempio? Per esempio la Russia?
È possibile un effetto domino: è un rischio reale. Finora non ci sono altre nazioni che hanno preso posizione, ma è opinione comune che molte potrebbero rivedere al ribasso i loro impegni. Molti Paesi in via di sviluppo, privati dei fondi forniti (anche) dagli Usa, potrebbero trovarsi nella situazione di non essere in grado di proseguire nelle politiche a favore dell'ambiente. L'Europa, pur con tutti i suoi problemi, non dovrebbe essere coinvolta nel processo. Così come la Cina, che negli ultimi otto anni è diventata un Paese leader per le questioni climatiche. Alcuni Paesi, come le piccole nazioni insulari, vedrebbero l'uscita degli Stati Uniti quasi come un tradimento.
La Russia non si è mai impegnata a fondo nel processo, e ultimamente il presidente russo Vladimir Putin è intervenuto sull'argomento a un forum di ricercatori ambientali che si è tenuto ad Arkhangelsk, e ha sostenuto che i cambiamenti climatici sono inarrestabili, ma che per alcuni aspetti sono benefici, che non sono causati da attività umane e, rivolgendosi ai Paesi che ne subiscono le gravi ricadute negative, ha dichiarato che «devono imparare ad adattarsi alle nuove problematiche». È quindi probabile che possa approfittare della nuova situazione e ritirarsi dagli accordi di Parigi: dal punto di vista della Russia, lo scioglimento delle distese di ghiaccio artico può aprire grandi prospettive economiche, specie nello sfruttamento dei giacimenti di petrolio.
5. L'economia degli Usa potrebbe avere una ripartenza, specie quella legata al carbone?
Alcune aziende beneficeranno del cambio di rotta, ma è tutto da dimostrare che l'economia Usa, nel suo complesso, possa averne dei vantaggi duraturi. Il tutto avviene mentre alcuni Paesi, come Cina e India, hanno ridotto l'uso del carbone, anche per diminuire l'inquinamento generato dalle centrali che usano questo combustibile fossile.
Inoltre, nonostante le promesse di Trump, i posti di lavoro nell'industria estrattiva non possono aumentare: questo perché la produzione di combustibili meno costosi e puliti, come il metano, è in crescita, e questo spinge le compagnie carbonifere a ridurre la produzione, non ad aumentarla.
6. Se Trump procede in questa direzione, quante tonnellate in più di CO2 dovremo contare?
Secondo alcuni calcoli, l'uscita degli Usa dagli accordi di Parigi porta a un aumento teorico di circa 1,4 gigatonnellate (milioni di tonnellate) di CO2 equivalente per anno fino al 2025.
Nella realtà sarebbe però un poco meno pesante, perché "il mercato" (le industrie, la ricerca, gli investimenti...), anche negli Stati Uniti, sta già procedendo verso una riduzione delle emissioni. E in ogni caso l'accordo dovrebbe iniziare a impattare sulle emissioni a partire dal 2020.
7. Un accordo è un accordo... Gli Usa possono ritirarsi così?
Molto dipende dal modo in cui Trump deciderà di uscire dagli accordi. Il processo di uscita - un po' come la Brexit - non è immediato: dura circa 4 anni, quindi tutto verrebbe diluito almeno fino alla scadenza del suo attuale mandato. Un'opzione prevede che gli Stati Uniti restino nell'accordo senza però rispettare gli impegni, in tutto o in parte: questo è possibile, perché purtroppo non sono previste sanzioni per gli inadempienti. Poiché le regole formali sono ancora in fase di elaborazione, potrebbe essere più facile restare, e "lavorare" per annacquare gli accordi.
Un'altra possibilità è l'uscita diretta dalla convenzione quadro dei cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change - Unfcc): questo metodo richiederebbe solamente un anno, ma sarebbe anche una decisione molto forte, che esporrebbe in molti modi l'amministrazione Trump. Si parla comunque anche di uscire attraverso procedure ad hoc che non rientrano in queste casistiche.
8. Chi appoggia il ritiro Usa tra le grandi aziende Usa?
Chi si oppone?
Lo scenario è complesso, con ovvie divisioni tra le industrie petrolifere e quelle dell'alta tecnologia e dell'informatica (come Facebook, Google, Amazon e Apple) ma non è tutto chiaro come si potrebbe pensare. Ovviamente si oppongono le industrie delle rinnovabili, in quanto temono che la Cina possa superarle in ricerca e produzione di materiali tecnologicamente avanzati. Il famoso imprenditore Elon Musk (Tesla, SpaceX...), per esempio, pur facendo parte del ristretto circolo di consiglieri di Trump per la politica industriale, ha dichiarato che rinuncerà all'incarico se il presidente recederà dagli accordi di Parigi.
9. È verosimile senza gli Usa il limite dei 2 °C? O quello di 1,5 °C?
Per quest'ultimo siamo già circa a un grado in più rispetto al pre-industriale... ma anche il limite dei 2 gradi potrebbe non essere più raggiungibile: e purtroppo, già tra 1,5 e 2 °C le differenze (le conseguenze) sono significative, come dimostra anche uno studio di Carl-Friedrich Schleussner, del Climate Analytics (vedi). In ogni caso, se gli Stati Uniti si ponessero fuori dagli accordi di Parigi e proseguissero il loro cammino senza limiti alle emissioni (lo scenario business as usual dello studio citato) nel 2100 la temperatura media sarà aumentata di 3,6 °C rispetto a quella pre-industriale.
10. Che cosa ne sarà delle nazioni più a rischio?
Alla fine della sua presidenza, Obama aveva firmato un accordo per contribuire con almeno 3 miliardi di dollari al Green Climate Fund, un fondo che destina il 50% delle risorse alla mitigazione (costruzione di strutture per compensare l'aumento del livello del mare, per esempio) e il 50% all'adattamento (ricerca e sviluppo di metodi per emettere meno CO2). Nonostante sia piuttosto complesso recedere da questo accordo, pare che anche in questo caso Trump voglia procedere nel disimpegno degli Usa: potrebbe essere impossibile trovare altrove gli stessi fondi. È una situazione tutta da definire, ma è ovvio che le nazioni insulari del Pacifico sono estremamente esposte alle conseguenze del riscaldamento globale e, al momento, rischiano di restare senza neppure un paracadute.